Oggi 24 aprile ricorre un anniversario che non dovremmo dimenticare: il crollo del Rana Plaza in Bangladesh, avvenuto nel 2013, quando oltre 1.100 persone persero la vita e altre 2.500 rimasero ferite. Non si trattò di una semplice fatalità, ma della tragica conseguenza di un sistema che pone il margine di profitto economico come unico principio regolatore dell'industria della moda. Quell'edificio fatiscente ospitava fabbriche tessili che producevano per marchi internazionali, simbolo perfetto di un'industria globale che sistematicamente nasconde le proprie responsabilità dietro complesse catene di fornitura.
Da quella tragedia è nato il movimento Fashion Revolution, che da 12 anni ci ricorda attraverso la Fashion Revolution Week che la moda può e deve cambiare. Quest'anno, dal 22 al 27 aprile, siamo tornati a chiederci #ChiHaFattoIMieiVestiti e a ricordare che dietro ogni capo c'è il lavoro di persone che meritano dignità, sicurezza e un salario equo.
Ma perché continuare a parlare di moda etica e sostenibile? Perché l'industria del fashion resta una delle più inquinanti al mondo. Un solo paio di jeans richiede quasi 4.000 litri d'acqua per essere prodotto. Il fast fashion ha trasformato i vestiti in oggetti "usa e getta", con conseguenze devastanti per l'ambiente. È una corsa insostenibile che il nostro pianeta non può più permettersi.
La buona notizia è che la pressione di movimenti come Fashion Revolution ha finalmente prodotto risultati concreti. L'Unione Europea ha compreso la necessità di un cambio di paradigma, introducendo normative che mirano a trasformare l'industria attraverso i principi dell'economia circolare. La Direttiva 2018/851/UE ha riscritto le regole sulla responsabilità estesa del produttore, spingendo verso un approccio che consideri l'intero ciclo di vita dei prodotti. È inoltre in corso di definizione una nuova normativa UE sui rifiuti tessili che stabilirà requisiti di eco-progettazione più stringenti, obblighi di trasparenza sulla composizione dei materiali e target ambiziosi per la raccolta differenziata e il riciclo a livello europeo.
E in Italia? Anche nel nostro Paese, patria dell'eccellenza tessile e della moda di qualità, sta finalmente prendendo forma la Responsabilità Estesa del Produttore (#EPR) per il settore tessile e moda. Una vera rivoluzione che obbligherà produttori, importatori e distributori a farsi carico della gestione dei rifiuti tessili post-consumo.
La bozza di decreto sull'EPR tessile prevede obiettivi ambiziosi: raccolta differenziata del 15% dei rifiuti tessili entro il 2026, del 25% entro il 2030 e del 40% entro il 2035. I produttori dovranno versare un contributo ambientale che finanzierà non solo la gestione dei rifiuti, ma anche ricerca e sviluppo per l'eco-design, tecnologie di riciclo e la promozione del riutilizzo.
La legge italiana sull'EPR non è perfetta e potrebbe essere migliorata, ma rappresenta un primo passo fondamentale. Per la prima volta si stabilisce che chi produce e vende abiti deve assumersi la responsabilità di ciò che accade ai suoi prodotti quando diventano rifiuti (come già succede in altre industrie). È un cambio di mentalità radicale, che sposta il focus dall'eterno consumo alla durabilità e circolarità. La strada è ancora lunga, ma il futuro della moda sostenibile passa anche da leggi che trasformano le buone intenzioni in obblighi concreti.
In Regenesi crediamo fermamente in questa visione: la vera sostenibilità richiede responsabilità condivisa. L'Italia ha la possibilità di reinterpretare la propria industria tessile e moda incorporando #eco-design, #tecnologieinnovative e #capacitàmanifatturiera in una nuova visione e in nuovi modelli di business. Noi di Regenesi da 16 anni lavoriamo quotidianamente per questo, affinché #ilbelloèsostenibile e #fromwastetobeauty si riempiano di azioni e significati concreti.