Il dibattito sul lavoro da remoto nel nostro paese ed il confronto con il resto dell’Europa ha fatto emergere un quadro articolato che – come spesso succede – ha portato a scontri di principio più che ad un confronto serio sul come evolvere il modello di lavoro, cercando di recepire le opportunità che la digitalizzazione diffusa dei lavori possono portare.
Il primo dato è che l’Italia parte da una posizione di oggettivo svantaggio, con il 79% dei lavoratori che lo ha sperimentato per la prima volta in questi ultimi mesi. Se pensiamo che soltanto nel nostro paese, ogni giorno 19 milioni di persone si muovono per raggiungere il proprio posto di lavoro con 703 milioni di chilometri percorsi, 29 tonnellate di combustibile consumate, 87 tonnellate di CO2, 18 tonnellate di polveri sottili e 243 tonnellate di ossidi di azoto immesse nell’atmosfera, si comprende come ridurre questi spostamenti determinerebbe un enorme beneficio sul piano della sostenibilità ambientale. Si è reso subito evidente che l’azzeramento del tempo di trasferimento fra casa e lavoro ha portato un maggior beneficio alle persone e che contestualmente molti hanno deciso di lavorare in luoghi diversi rispetto all’usuale residenza ( città di origine, seconda casa ecc). Le persone hanno inoltre reagito soggettivamente in maniera molto diversa a questa condizione di lavoro. E’ inoltre emerso un problema significativo nelle realtà dell’indotto (bar, mense, società di pulizie, negozi di vicinato ecc).
A fronte di questo ci sembra quindi che sia necessario:
- 1 Ripensare, in parte, la funzione di alcune aree delle città
- 2 Ripensare l’organizzazione degli spazi nelle aziende
- 3 Ripensare l’organizzazione del lavoro e delle infrastrutture digitali nelle aziende
- 4 Valorizzare i momenti di presenza fisica delle persone al lavoro concentrando i momenti di maggior interazione e di acquisizione di competenze.
Il settore moda si è trovato “spiazzato” da questo cambiamento, sia nei propri modelli di funzionamento operativo sia in termini culturali. Il pensare ad una “ecologia relazionale” e quindi a nuovi modelli di business che stimolano nuovi modelli comportamentali è la sfida che si è aperta.
Sono davvero molti i punti a favore di questo nuovo modo di concepire il lavoro, che come tutte le cose, non poteva continuare a crescere incessantemente ma che, come insegna l’economia circolare, si sta trasformando, adeguandosi ad una società che sta acquisendo una grande consapevolezza umana e ambientale. In questa logica Regenesi ha scelto di adottare questa strategia sin dalla sua nascita, nel 2008, facendo proprio un modello lavorativo lungimirante e coerente con un modello aziendale in cui ogni elemento collabora nel raggiungimento della stessa mission, trasformare i rifiuti in bellezza connettendo persone, idee e attività.