LO SCARTO DIVENTA RISORSA, MA AL CENTRO RESTA SEMPRE LA RICERCA DELLA BELLEZZA.
Cara Silvia, oggi vogliamo parlare di Regenesi, ci racconti come è nata e qual’è la sua mission?
Nel 2008, dopo un’esperienza da lavoratrice dipendente e poi da consulente per realtà strutturate del territorio, mi sono resa conto che ciò che veramente desideravo era un progetto mio, personale. L’ispirazione è poi arrivata durante il ponte del primo maggio, che trascorsi a Napoli: la città era in piena emergenza rifiuti e vedere le bellezze architettoniche circondate da montagne di spazzatura mi ha fatto trovare la mission della mia nascente impresa: “trasformare i rifiuti in bellezza”.
Così è nata Regenesi, con l’obiettivo di creare accessori lifestyle (N.d.R. di moda e design) di alta qualità e totalmente Made in Italy. Non si focalizza solo sui concetti di economia circolare, ecologia e sostenibilità, ma punta a recuperare materiali di scarto per dare vita a prodotti unici, belli e di altissima qualità, ognuno con una storia e un percorso diverso e tutto da raccontare. Con Regenesi lo scarto diventa risorsa, ma al centro resta sempre la ricerca della bellezza.
Sono passati 12 anni da quando Regenesi ha iniziato l’attività sposando il modello allora pionieristico della circular economy. Da allora le cose sono molto cambiate e oggi c’è una grande tendenza a dichiararsi “sostenibili”. Puoi darci un parere sul concetto di sostenibilità e di circular economy?
Un consulente poco tempo fa mi diceva che Regenesi risulta come la prima azienda che in 12 anni non ha cambiato mai visione. Regenesi è nata così e così continua, non abbiamo cambiato le nostre idee e i nostri obiettivi.
Di fatto siamo noi, non è un progetto aziendale, è il cuore dell’azienda. L’essere nativi porta ad essere in questo anche molto autorevoli, molti eventi e organizzazioni nella moda (negli ultimi mesi White e Pitti Immagine) ci stanno invitando per far conoscere ai propri visitatori una realtà riconosciuta, vera e seria, dandoci l’opportunità di mostrare e vendere i nostri prodotti ai migliori negozi.
L’aspetto positivo è che molti ora parlano di questi argomenti perché sono di tendenza, l’aspetto negativo è che molti cercano di guadagnarci raccontando cose non vere. Di conseguenza, adesso più di prima, bisogna fare cultura su questo, perché di 100 aziende che dichiarano di essere sostenibili 30 forse lo sono per davvero, per il restante questa è solo una comunicazione strumentale. Come in tutte le cose, quando si vede un’opportunità di mercato a livello internazionale si cerca sempre di entrare a farne parte.
Una coerenza che oggi è diventata un prezioso heritage aziendale a disposizione di Regenesi ma anche di numerose aziende partner…
Sì esatto. La nostra è un’azienda cognitiva, perché sono le conoscenze e le competenze che fanno la differenza: la competenza sui materiali, sui processi, sull’eco-design, ma anche sul creare dei modelli di partnership. Siamo un’organizzazione a rete, quindi inevitabilmente la creazione di progetti è parte di noi. Uno dei valori che ci riconoscono quando facciamo co-branding è proprio quello che le aziende partner si ritrovano in un progetto che noi ci siamo impegnati a portare avanti. Non solo ecosostenibilità quindi, ma anche far sì che le cose accadano, dall’ideazione del progetto all’organizzazione delle collezioni. Dal lato nostro è fondamentale avere quindi la capacità di capire cosa è necessario per l’altro per trarne maggior beneficio. Un equilibrio tra l’atto creativo e l’estrema organizzazione, avere quindi un metodo da applicare, che ormai chiamiamo Metodo Regenesi ©.
L’ultimo anno è stato per Regenesi particolarmente importante e pieno di successi, vuoi raccontarcene qualcuno?
Regenesi ha ricevuto molti riconoscimenti fin dai primi anni di attività, ma in effetti la maggiore attenzione verso il tema della sostenibilità dell’ultimo anno, ha aumentato le opportunità di business e le occasioni di visibilità. Già nel 2010 la Triennale ci ha portati a Shanghai in una mostra dal titolo “Tradizione e Innovazione” dove noi rappresentavamo l’innovazione; i Musei Vaticani ci hanno portati a Rio de Janeiro con una mostra intitolata “Industria e salvaguardia del creato”. Nel 2019 abbiamo vinto il premio ITWIIN (ITalian Women Innovators and Inventors Network) nella categoria Capacity Building e il premio "Best Performer dell’economia circolare", lanciato da Confindustria in partnership con Luiss Business School, 4.Manager e il supporto di Enel X. Abbiamo poi partecipato a eventi molto importanti nel settore della moda, come Pitti Uomo e WSM Fashion Reboot, e non solo: lo scorso 6 gennaio il Cardinale Zuppi ci ha invitati a Bologna, dove abbiamo raccontato il nostro impegno a salvaguardia dell’ambiente. Nella moda si inizierà a parlare seriamente di sostenibilità nei prossimi anni: questa nuova sensibilità ci porterà nuove sfide e l’occasione per continuare a far crescere la nostra attività.
Secondo te i brand sono in qualche modo responsabili di un overconsumption proponendo modelli non sostenibili volti a spingere il consumatore finale ad acquistare sempre di più? C’è qualcuno che ha già iniziato ad andare verso un modello più sostenibile invitando ad acquistare meno?
Io credo che i veri marchi di Made in Italy in questo siano avvantaggiati. Agli inizi del 2000 quando iniziò ad esserci Zara, al di là della crisi, anche questo creò una serie di problematiche in termini di logistica, poiché venivano proposti modelli di produzione senza stagionalità. Chi ha avuto il coraggio di mantenere il proprio posizionamento, il proprio ragionamento, il proprio prezzo, chi è riuscito a mantenere integrità credo che abbia fatto bene, poiché il concetto di Made in Italy, di prodotti di qualità con lunga durata, sono tutti concetti coerenti con il ridotto impatto ambientale. “Il lusso non può e non deve essere veloce”, perché “il lusso ha bisogno di tempo per essere raggiunto e apprezzato” dice Giorgio Armani in una lettera aperta a WWD e io sono completamente d’accordo con lui. Il fatto che ci sia davvero troppa offerta rispetto all’effettivo bisogno è un fattore importante, che ci porta a riflettere, a rallentare e riconnetterci con uno stile di vita e di acquisto più sostenibili.
Quali saranno secondo te le sfide maggiori che il settore della moda si troverà ad affrontare in futuro?
Sicuramente lo spreco, che è un grande problema in questo settore. C’è la necessità che ogni designer e ogni organizzazione cambi il proprio approccio a come pensa, realizza e mostra le proprie collezioni di moda. In un settore in cui l’essere proiettati in avanti è sempre stato importante, questo è il momento di reinventare i processi del sistema moda, uscire dal mondo dell’effimero.
Pensiamo anche alle sfilate e a quante risorse materiali ed energetiche vengono utilizzate. Gli eventi speciali dovrebbero essere fatti per occasioni speciali, e non come una routine.